Autore: Avalon9
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Personaggi Principali: Shinichi Kudo; Ran Mouri
Altri Personaggi: Heiji Hattori come guest star
Rating: rosso
In proposito: sono anni che Ran aspetta Shinichi; sono anni che Ran aspetta un amico d’infanzia. E, una sera, si accorge che Shinichi non è più un amico, si accorge di essere stanca di aspettare, e di voler essere egoista.
Disclaimer: i personaggi sono di Gosho Aoyama; la situazione invece la rivendico mia^^
Cose: All’inizio doveva concludersi al primo paragrafo, senza apparizione fugace di Heiji per intenderci. Poi ho cambiato idea e sono andata avanti. Finalmente scrivo qualcosa con un po’ di romanticismo come fulcro, e ci ho messo il rating rosso un po’ per sicurezza^^. E la lascio incompiuta. Nel senso che ognuno può immaginare la conclusione che preferisce, felice o tragica. Cavoli! Sembra che io non riesca a scrivere qualcosa di Detective Conan prendendo una decisione definitiva. Urge riflessione!
Dedicata a chi ama la coppia Shinichi/Ran, con una Ran che finalmente si stanca di aspettare il suo detective. L’ambientazione cronologica?...Mmh: i nostri attori hanno circa venticinque anni all’inizio; ventotto alla fine. Sì, decisamente li ho fatti crescere^^ E Shinichi è Shinichi in via definitiva, grazie alla cara Ai e al finalmente creato antidoto e Ran conosce, ormai, la sua ex duplice identità di Conan. Ma l’organizzazione c’è ancora (sono duri a morire, i MIB XD) e Shinichi sta vivendo alla macchia peggio di un latitante.
La cosa più difficile è stato rendere i caratteri di Shinichi e Ran; non so se ci sono riuscita: a voi la sentenza!

  

 

            Solo una notte

 

“Posso darti solo questa notte.”
“Lo so.”

Le parole sono strane, a volte. Ti possono far male e ti possono lasciare con tante domande dentro, nella testa, che rimbombano e si rincorrono.
Le parole possono far male, a volte.
E tu, Ran, delle parole, di quello che si celava dietro alle parole, avevi paura. Tanta paura. Ma avevi imparato che la paura è meglio dell’incertezza; avevi imparato che aver paura per Shinichi era meglio che non sapere nulla di lui.
Avevi imparato, Ran. Ad aspettare telefonate rapide e di ovvietà; avevi imparto a studiare la voce un po’ metallica e troppo distante di Shinichi; avevi imparato a ridere e a preoccuparsi e ad arrabbiarsi con Shinichi.
Avevi imparato che le cose possono cambiare senza che l’apparenza si modifichi. E ti era scoperta donna con paura e sorpresa. E ti era accorta che Shinichi era uomo.
Dentro una stanza piena; dentro l’ennesima indagine che seguivi, gli occhi socchiusi e voci congetture e ipotesi che si rincorrevano; dentro la voglia di andartene e a omicidi e morte e dolore non pensarci. Dentro un’attesa che si dilatava, sospesa fra il quotidiano e il sempre, aveva riscoperto un amico d’infanzia apparso quasi per scherzo.
Shinichi dagli occhi che ammiccano sicuri; Shinichi dal mezzo sorriso un po’ arrogante un po’ infantile. Shinichi che sussurra all’orecchio parole che Ran non vuole sentire, per non sperare di nuovo in un sentimento lasciato fermare. Shinichi che scompare, il respiro irregolare sul viso troppo sudato e pallido, senza risposte e con troppe promesse che andranno infrante.
Shinichi.
E scoprirti a seguire il disegno di labbra carnose sempre conosciute e mai osservate; indugiare su un viso un po’ pallido un po’ provato; chiederti dove sia scomparso il sorriso pieno e un po’ arrogante di un tempo, quando per Shinichi le deduzioni erano un’esibizione e un omaggio che lo inorgogliva. Chiederti il perchè, adesso, di un’espressione sempre sospettosa e di quell’aria di apparente apatia e sapere che fanno male e, tuttavia, sono così belle. Così...
E intuire un fisico diverso, sotto vestiti nuovi e sconosciuti. Vedere un corpo più saldo, un’altezza diversa; vedere in ogni gesto una maturità che non si conosce, non si ricorda. E realizzare che Shinichi non è più un adolescente, ma un uomo. Accorgersi di un fascino differente, non più tenero e innocente. Accorgersi che Shinichi è sensuale. Quando arriccia le labbra sprezzante; quando aggrotta la fronte pensieroso; mentre sbuffa e, le mani in tasca, guarda tutto e non osserva niente.
Shinichi è sensuale.
E scoprirti a fantasticare sull’odore della sua pelle, sulla sensazione delle sue labbra; scoprirti a desiderare le sue braccia attorno al corpo, sul corpo. Nudo. E averne vergogna e averne piacere; e essere gelosa di quella vita che Shinichi trascorre lontano, delle persone incontrare che non hanno volto nome; delle donne...delle donne forse consolate forse abbracciate. Scoprirsi invidiosa di sensazioni agognate e mai provate, per paure e per pudore, dentro un sentimento che cresce col tempo.
E capire che qualcosa è cambiato e non averne paura. Desiderare Shinichi senza vergogna o pudore. Desiderare più di una voce che racconta in una cornetta, senza tempo e senza spazio; desiderare Shinichi perchè è Shinichi, e non un amico un compagno un detective. Desiderare il suo corpo e la sua attenzione, un sorriso diverso e un calore sconosciuto.
E sorridere divertita della sua espressione attraverso lo spiraglio della porta. Sorridere mentre ti lascia entrare in quella casa che conosci troppo bene e sa di un tempo ormai passato, sa di polvere e chiuso. Accettare la tazza calda nelle mani fredde di un inverno di venticinque anni; accettare una conversazione un po’ infantile un po’ imbarazzata, tu sulla poltrona lui sulla scrivania. Come da ragazzi. Quando Shinichi era amico e non uomo; quando Shinichi non era una presenza effimera e sfuggente; quando lo potevi vedere in ogni momento e non dovevi affidarti al tempo e alla sorte.
Come da ragazzi. Quando tu eri ingenua; quando imparavi il rossore al suo sguardo; quando aspettavi ad appuntamenti che non si avveravano; quando piangevi e non potevi nemmeno insultarlo.
E sfiorargli le labbra (carnose e un po’ screpolate) con un dito mentre cerca la voce per protestare, mentre cerca di allontanare la tua mano che scivola sul maglione. Sfiorargli le labbra e toccare quello che hai scoperto di desiderare, mentre la mano accarezza un collo teso e ancora risale, ad un viso visto cambiare, ad un viso sottile con la mascella dura e il naso elegante, con il pizzicorio leggero di una barba appena rasata.
E accostare la guancia alla sua guancia e sentire un profumo che non è solo dopobarba ma è uomo e desiderio come il tuo. E le sue mani, le sue braccia attorno al tuo corpo, nella consapevolezza di un abbraccio che ti vorrebbe allontanare, nella volontà di una distanza che adesso tu vuoi annullare.
Ran.”
Lo senti implorale, la voce un po’ bassa un po’ roca. Lo senti implorare di non costringerlo, di nuovo, a parlare; di non obbligarlo di nuovo a spiegare qualcosa che adesso conosci e ti ha fatto rabbia e ti ha fatto male. Lo senti implorare e soffi un sussurro al suo orecchio, con una malizia nuova che ti diverte. Con la certezza di donna che hai deciso di essere. Soffi parole in un bisbilio indistinto, e le mani insinuarsi in capelli un po’ più corti e sempre ribelli; insinuarsi sotto un maglione per scoprire tremore su un corpo allenato.
Lo senti implorale in un rantolo che sa di singhiozzo, la sua testa che ti preme sulla spalla, la sua fragilità, la sua stanchezza che ti investe. E ti ricordi che per una volta vuoi essere tu l’egoista; per una volta vuoi costringerlo tu. E ti ricordi che Shinichi è Shinichi e non un bambino; ti ricordi che il bambino è sparito negli anni e fra le braccia hai un uomo che ti stringe i fianchi e forse ti vorrebbe amare.
“Sei così pallido” gli sussurri stringendogli il viso fra le mani, seguendo l’espressione di un sorriso un po’ ironico un po’ amaro. Mentre rivedi un viso arrossato e due occhi grandi osservarti dietro lenti fasulle; mentre ricordi un viso infantile sorriderti e rassicurarti. E riscopri la stessa espressione un po’ dolce un po’ abbattuta nelle fossette ai lati delle labbra, nelle piccole rughe espressive.
“Sono solo stanco, Ran.
E mentre gli sollevi i capelli dalla fronte; mentre gli accarezzi la cicatrice nascosta dal sopracciglio; mentre senti le sue gambe stringersi di più al tuo corpo e non lasciarti andare riconosci la verità e la bugia mescolarsi nella smorfia che gli sfugge sul viso.
E gli abbassi le palpebre su occhi che ti implorano di lasciarlo, su occhi che ti chiedono di amarlo e di perdonarlo. Gli abbassi le palpebre e sospiri al suo respiro sulla tua gola, a quel gemito che sa di sollievo e dolore mentre discendi lungo il suo viso. E glielo stringi forte, il viso, e gli stringi forte le spalle mentre lo baci e lo baci e lo baci. Mentre lo senti ricambiare e respirare nel tuo respiro, inseguire il tuo desiderio, quell’attrazione che hai realizzato fissando la pioggia scorrere sul vetro nell’inverno di venticinque anni. Quel bisogno che non hai più ignorato, nel pensiero di una valigia che stava finendo e di una casa di nuovo lasciata ammuffire; nella dolorosa consapevolezza di non ritrovarlo e ancora aspettarlo, senza certezze e promesse.
Ran” ti sussurra, la penombra in una stanza che era di un ragazzo. Ran ti sussurra soffiando sul tuo viso; Ranti sussurra mentre i capelli ti accarezzano il viso e senti la sua voce, la sua bocca, sul tuo collo; Ran ti ripete in un singulto roco, con le mani sul tuo seno, con le mani suoi tuoi fianchi.
“Posso darti solo questa notte.”
E lo baci mentre gli lasci fra le mani un bottone della tua camicia; lo baci mentre ti lasci spogliare, senza rossore e senza timore; lo baci mentre gli sfili il maglione e ti lasci guardare. E riconosci in gesti nuovi la stessa emozione, lo stesso tremore di un desiderio sempre avuto e trattenuto. E lo stringi al tuo corpo nudo quando lo senti esitare, la paura di farti ancora del male; lo stringi e glielo lasci capire il bisogno che hai di sentirti voluta, di sentirti desiderata.
“Domani” ti prova a spiegare, con labbra secche e respiro già roco e a stento controllato. “Domani non ci sarò, quando ti sveglierai.”
“Lo so.”
“E non ci sarà nemmeno Conan, Ran.”
“Lo so.”
E ti compiaci del gemito alle tue gambe attorno ai suoi fianchi; ti compiaci di quel viso che non puoi vedere e non vuole guardarti. E sorridi senza rimorsi e paure al suo respiro sul seno, alle sue mani nei tuoi capelli, alle sue labbra che ti mordono la pelle.
“É solo una notte, Ran.”
E non lo lasci continuare; non lo lasci di nuovo scappare. E mentre lo stringi e lo fai rotolare sul materasso; mentre gli fai ingoiare quel non voglio farti del male; mentre decidi che quel male lo vuoi sentire dentro la carne, dentro nostalgia e paure che puoi controllare; mentre lo provochi e lo senti cadere in una implorazione che sa di desiderio. Allora capisci che quella sola notte saranno tante notti; capisci che ogni volta ci sarà una sola notte, senza pensare che potrebbe essere l’ultima. 

                               ***

“Sei un idiota, Kudo.”
“Lo so.”
“Da quanto...
“Tre anni.”
“E non mi hai detto niente” sospiri, le mani a stropicciarti il viso. Quasi irritato quasi divertito. E dell’offesa e della rabbia e delle parole sulla lingua te ne dimentichi subito, in quel bar di periferia, mentre Kudo guarda dalla finestra, un cappellino ben calato in testa e il bavaro alzato. Te ne dimentichi subito, di rabbia e offese, e sorridi e ridacchi, mentre Kudo ti fissava senza emozione, gli occhi socchiusi.
“Sono felice. Per te.”
Toyama come sta?” ti chiede, mentre nasconde una smorfia nella mano. E tu lo sai che quella smorfia è per le tue parole, per quella approvazione che Kudo non ti chiede e per la richiesta che non vuole farti. É orgoglioso Kudo; lo è sempre stato.
“É Hattori-domo, ora” lo correggi nel ricordo di due bicchieri di sakè sorseggiati di maggio, negli occhi la ricerca di un viso sfuggito fra la folla e di un cenno fugace. Nel ricordo di un rischio giocato per orgoglio. E lo vedi accennare un sorriso che sa di rassegnato; lo vedi stringere la tazzina da caffè e inghiottire un pensiero che ricorda un rimpianto.
Cosa farai adesso Kudo?”

                              ***

“Io non ci sarò.”
Te lo dice di spalle, in quel letto dove ti ha avuta. Te lo dice di spalle, la testa bassa e la voce distante. E tu sorridi di quella sensibilità nascosta, di quella dolcezza travestita da indifferenza. Sorridi di una maschera che hai imparato ad aggirare, che hai scoperto di saper ignorare; sorridi e lo lasci parlare, le spalle nude nella penombra di una candela dimenticata accesa.
“Non ci sarò alle ecografie; non ci sarò per progettare qualcosa; non ci sarò se vorrai stringermi la mano la notte e se starai male per la nausea.” ti sussurra, e in quella voce adulta recuperi i pianti e i capricci di un bambino; recuperi la rabbia e il rammarico di un uomo.
“Non ci sarò nemmeno domani mattina, Ran” ti ricorda con negli occhi la richiesta di non costringerlo a restare; con negli occhi la preghiera di non lasciarlo andare. E ti stringe forte mentre gli accarezzi le spalle, mentre gli accarezzi i capelli e sai che non hai paura e non hai incertezze. Mentre lo baci e ci fai di nuovo l’amore, ancora e ancora come una sola notte. Anche se di notti ce ne sono state tante, dopo.
Anche se di notti strette al suo corpo ne hai vissute tante, in tre anni.
Anche se di notti passate da sola nel letto ne hai perso il conto.
Anche se è sempre una sola notte.
“Vuoi davvero...
“Lo voglio” gli sussurri, un dito sulle labbra per non farlo continuare. Un dito sulle labbra per accarezzare la piega impercettibile di un sorriso che non vorrebbe farti sapere. E gli premi l’orecchio al tuo ventre; e gli accarezzi i capelli e ti fai abbracciare. Perchè hai imparato ad essere egoista con Shinichi; perchè hai imparato che per te Shinichi è uomo. E tu vuoi essere sempre una donna.
Una sola notte; per ogni notte che riuscirà a tornare.

                                ***

“Lo vuole.”
“E tu cosa le hai...?” indaghi, il cellulare stretto all’orecchio e una sigaretta fra le labbra. Mentre Osaka è caos e macchine dalla finestra della centrale di polizia.
“Che non ci sarò.”
Mouri è cresciuta. Davvero.” ridacchi, e ti godi quel mezzo sorriso che immagini gli sta increspando le labbra; ti godi il pensiero di quel lieve imbarazzo nascosto. “Starà bene, vedrai.”
Hattori...
“Ci penserò io, Kudo” lo rassicuri, per quel nome soffiato senza coraggio di chiedere; per quel nome strascicato per orgoglio troppo pagato. “É una promessa. D’accordo? Tu pensa solo a tornare.”
Hai.”

                                ***

                   “É solo una notte, Ran
                “Sarà la nostra notte, Shinichi.”